CBD dichiarato stupefacente in Italia? No, facciamo chiarezza

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Lo scorso 21 agosto sulla Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato un decreto che inserisce l'olio di CBD nella tabella dei medicinali del DPR 309/90. Ma quali sono le vere conseguenze di tutto ciò? 

Sulla questione è stata fatta molta confusione. In primis dai giornali, che non hanno esitato a pubblicare titoli del tipo: "stretta sulla cannabis light" o ancora "CBD inserito tra gli stupefacenti". 

In realtà, il decreto in oggetto voluto prima dall'ex primo Ministro Speranza e poi dall'attuale primo Ministro Schillaci non riguarda il CBD in sé. Ma esclusivamente "le composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo ottenuto da estratti di cannabis". 

In poche parole, la canapa e tutti i prodotti che ne derivano, comprese le infiorescenze, possono essere vendute liberamente

Fa eccezione per l'appunto l'olio di CBD per uso orale, che, essendo inserito nella tabella dei farmaci, potrà essere distribuito solamente dalle farmacie. Una decisione alquanto discutibile che mette ulteriormente in difficolta il settore tricolore della canapa.

Decreto CBD stupefacente? No

Il CBD non è stupefacente e il decreto va ritirato: le associazioni italiane a lavoro  

"Il CBD è una sostanza chimica non psicoattiva, che non induce dipendenza fisica e che non è associata a potenziali abusi". A dichiararlo dopo numerosi studi è l'OMS (l'Organizzazione Mondiale della Sanità) nel 2017. 

E ancora, con una sentenza del novembre del 2020, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha stabilito che gli Stati membri non possano vietare la vendita di CBD legalmente prodotto, sottolineando che il cannabidiolo non è uno stupefacente. Tutt'altro.

Il CBD è un cannabinoide dai mille benefici e proprietà terapeutiche: antinfiammatorie, analgesiche, antiemetiche, ansiolitiche, neuroprotettive. E limitare la sua vendita alle sole farmacie colpirebbe duramente sia il settore cannabico sia i consumatori, che lo preferiscono tra gli innumerevoli metodi di assunzione. 

Per fortuna, le associazioni italiane si sono presto attivate per fermare questa pazzia. In particolare l'Associazione Canapa Sativa Italia, l'Associazione Sardinia Cannabis, l'Associazione Resilienza Italia Onlus e l'Associazione Imprenditori Canapa Italia, hanno dichiarato con un comunicato: 

"Chiediamo al Ministero della Salute di ritirare il decreto e invitiamo il governo al dialogo, coinvolgendo le associazioni di categoria nelle scelte normative che verranno adottate per regolamentare il settore sulla base di dati e studi scientifici che vorremmo condividere". 

Si perché una regolamentazione responsabile fondata sulle prove scientifiche  raccolte finora è necessaria potrebbe fare da trampolino da lancio ad un settore dai migliaia di posti di lavoro che ancora brancola nel buio. 

Noi siamo fiduciosi e come sempre vi terremo aggiornati sull'evoluzione dei fatti. 

* Foto di CRYSTALWEED su Unsplash

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